Interviste
Subsonica: la Vita Musicale di Boosta e Samuel

Il 2024 ha segnato una nuova pietra miliare nella carriera dei Subsonica. L’album Realtà Aumentata, un tour ambizioso, la vittoria del David di Donatello e l’esaltazione di una lunga ricerca tecnica, nelle parole di Samuel e Boosta, entusiasti di condividere un nuovo capitolo di musica insieme.
Partirei dalla gestazione di Realtà Aumentata che è in realtà partita da uno stimolo esterno e dalla soundtrack per il film Adagio di Stefano Sollima (che ha fruttato il David come miglior compositore, NdR)
Boosta: Il lavoro con Sollima è stato fortunatissimo perché ci ha permesso di tornare a lavorare insieme in un momento in cui ci chiedevamo se avesse senso e se avessimo voglia di fare un altro disco insieme. Non era un dato scontato, perché ogni volta che ti allontani, i viaggi in solitaria diventano sempre un pochino più lunghi così come il tempo di “rientro al porto”. Scrivere una colonna sonora è stato, oltre che un privilegio, ideale perché, componendo senza dover pensare alla forma-canzone, ci ha dato il tempo fisiologico di rimetterci in bolla con la nostra creatività condivisa. E ci siamo accorti suonando che ci trovavamo esattamente dove ci eravamo lasciati, ancora con la voglia di raccontare qualcosa e la possibilità di farlo insieme. Abbiamo ricominciato a prenderci una settimana al mese per far scrittura lavorando fuori, passando del tempo insieme, ed è venuto fuori questo disco di cui siamo entusiasti.
Come descrivereste il paesaggio sonoro che è venuto fuori raccontando la Realtà Aumentata?
Samuel: I paesaggi sonori dei Subsonica cambiano, ma non cambia la pennellata: l’intenzione è sempre quella di concentrarci sul paesaggio che ci troviamo attorno in un determinato momento storico. Il presente nel nostro racconto è molto importante, anche se la nostra modalità espressiva si basa molto sul tempo, sul rincorrersi di passato e futuro. Il presente ovviamente ci regala ogni volta tecnologie e strumenti nuovi. Siamo amanti dello shopping compulsivo in negozi di sintetizzatori, macchine, ecc. Proprio perché questo stimola la nostra curiosità e voglia di sperimentare. Andando ad aggiornarci ogni volta musicalmente e tecnologicamente, abbiamo uno sguardo sul presente molto pregnante.
Come sono state le recording session per l’album? Che sonorità e quali innovazioni tecniche avete introdotto?
Boosta: Noi abbiamo sempre più o meno lo stesso metodo di lavoro quando siamo in città, lavorando con gli strumenti che ci piacciono di più. Per quanto riguarda me, la maggior parte dei lavori sono fatti con i virtual preferiti da me e da Max (Casacci Ndr). Perché ognuno di noi ha il suo studio, col suo computer e i suoi plug-in. Quindi è difficilissimo omologarsi e avere tutti le stesse cose. Perciò abbiamo usato molto Kontakt che è tra le nostre librerie preferite, dove si trova tanta roba interessante e abbiamo aggiunto due-tre cosine, come il pianoforte vero, il verticale U1 di Yamaha. Ultimamente trovo molto d’ispirazione anche Keyscape e Noire di Frahm. Abbiamo continuato a utilizzare le nostre armi, i synth che abbiamo raccolto nell’arco degli anni e che ci scambiamo reciprocamente. Per esempio, all’epoca dei fatti avevo fornito a Max un Korg Trident che abbiamo stra-usato a partire dalla colonna sonora di Adagio. Per distorcere, cosa che amo fare, abbiamo usato con grande piacere il nostro organetto Ace Tone, un fantastico pre-Roland. Abbiamo infine attinto a tutto un giro di amici, suoni e pedali, come i ragazzi di AC Noises e di Formula B.
Molte delle tracce del disco (“Cani Umani”, “Nessuna Colpa”, e altre) sfociano nel finale in quelli che sembrano dei veri e propri inni corali e strumentali. Quanto vi ha influenzato il pensiero del palco in questa scelta e quanto è stata esaltata questa cifra compositiva negli arrangiamenti live?
Samuel: Premetto che il palco per il tour è qualcosa di incredibile, forse mai vista in un progetto italiano. Riguardando al risultato con tutti i tecnici che ci hanno lavorato, ne eravamo tutti ammirati. Al di là di questa parentesi di flexing (ride, Ndr), i Subsonica hanno sempre lavorato in qualche misura per il live. Siamo nati in un periodo storico in cui non riuscivi ad andare in giro a suonare se non performavi e se non facevi divertire la gente dal vivo. Creare musica in studio e davanti a un computer pensando poi al momento in cui la si presenterà live è nel nostro DNA. Soprattutto in Realtà Aumentata, partendo dalla colonna sonora di cui parlava Davide (Boosta, Ndr) prima e dalla domanda esistenziale “Il mondo ha bisogno di un altro album dei Subsonica?”, ci siamo liberati del concetto discografico di musica, quello un po’ basic di strofa-ritornello che la discografia negli anni ci aveva messo un po’ sulle spalle. Siamo riusciti a eliminare tutti i fronzoli, a concentrarci su quella che è la vera scrittura dei Subsonica, che ha dei codici emotivi molto accesi e che vuole assolutamente stare sul palco.
Davide, a livello di strumentazione, cosa hai scelto di portare con te nei palazzetti per questo tour?
Boosta: La struttura del mio gear è più o meno la stessa. Noi lavoriamo, anche per essere comodi e coerenti tra disco e live, con due computer che procedono in parallelo, uno con Logic e l’altro con MainStage dentro. Abbiamo un sistema di backup istantaneo per prevenire il famoso MIDI panic o qualsiasi altro panic capiti. Su MainStage sostanzialmente girano i suoni del disco, controllati da quattro master Native Instruments, che costituiscono le tastiere principali. Poi c’è la parte relativamente più analogica con pianoforte, il mio Dexibell S7, che è perfetto per quello che faccio dal vivo, il Moog per la parte solista e l’Ace Tone per le parti di organo, alcuni tappeti e le distorsioni. Infine tutta una serie di pedalini che amo da matti: il Respira di AC Noises, il Volante Strymon come echo sul pianoforte, un paio di Memory Man da utilizzare sull’Ace Tone per ottenere una bellissima dimensione space e un distorsore stereo artigianale con valvola intercambiabile che mi aiuta a “celebrare il matrimonio” di distorsioni con la chitarra in maniera più omogenea e fluida.
Ci parlate dell’idea del Soundcheck Aperto “Baci, Abbracci E Decollo Kabuki”?
Samuel: Considerando il lavoro che c’è dietro il palco per questo tour, è chiaro che è qualcosa che forse non basta condividere solo durante il live, che va compreso e approfondito. Proprio perché si discosta un po’ dal concetto live a cui siamo abituati. Non è solo una band che sale sul palco e va a raccontare la propria musica, ma è una struttura costruita da un gruppo di esseri umani con lo stesso intento: fare una cosa fighissima e riempire questo spazio con la bellezza tecnica dei bulloni, delle luci, dei LED. È bello perciò che la gente lo veda anche prima che funzioni, quando è un gigante robot addormentato, destinato a svegliarsi qualche ora dopo.
Boosta: Il palco è un’astronave e il soundcheck aperto ne è il varo.
In questo numero di SMMAG!, stiamo cercando di raccontare la musica come rifugio per chi la pratica e la vive. “La musica mi ha salvato la vita” vi dice qualcosa?
Boosta: Personalmente ho avuto la fortuna di voler fare il musicista da quando ero molto piccolo. Penso valga anche per Samuel, visto che io e lui suoniamo insieme da prima che prendessi la patente. E infatti mi ha insegnato lui a guidare. Abbiamo avuto il privilegio di avere un sogno che giorno dopo giorno è diventato realtà. E, a distanza di anni, ti svegli ancora sapendo di fare quello che ami. Dopo questa chiacchiera, andiamo al palazzetto per partire con un tour. Da piccoli sognavamo proprio questo. Non so se la cosa ci ha salvato la vita o se la vita sarebbe potuta essere diversa…
Samuel: Io ho iniziato a pensare così presto alla musica, che praticamente non ho dato alla mia vita altre possibilità. A sei anni già dissi ai miei genitori che avrei fatto il cantante. Perciò sono arrivato a oggi quasi senza rendermene conto e per me è stato bellissimo costruire un rapporto molto forte con Boosta e Max. Ho sempre trasferito tutto sul piano umano e ne ho avuto la riprova proprio ultimamente con un inizio anno abbastanza complicato. Il fatto di avere la musica, delle persone con cui condividerla e una grande famiglia attorno a me mi ha aiutato a superare determinati momenti. Chi fa il musicista spesso tende a pensare alla propria sfera personale, a soddisfare il proprio ego, a costruirsi delle proprie motivazioni per stare su un palco. Stare in una band può essere più complesso sotto certi punti di vista, ma alla lunga è la cosa più bella che possa capitare a chi fa il nostro mestiere.
Uno strumento/gear, un album o un live da consigliare?
Boosta: Sto aspettando di tornare a Torino per ritirare da Martin Pas, un negozio di amici da cui compriamo delle cose un po’ matte, un Nagra III, che era uno dei miei sogni da bambino. Come album, da amante del suono in generale, vi consiglio Questions of time di Bernard Parmegiani, che è stato uno dei precursori dell’elettronica, libero dalla forma canzone, con utilizzo di sequencer e tante altre soluzioni bellissime.
Samuel: Io sono parecchio infognato con la tech-house, ma sto andando a riascoltare ultimamente Portishead, The Chemical Brothers, Daft Punk, un po’ quel mondo della techno suonata che ci affascinò quando ci formavamo. Tra i CD che conservo come ricordo, ti cito e consiglio A Hundred Days Off degli Underworld e spero tra l’altro di andare a vederli quest’estate visto che si sono riuniti per un tour.



