Interviste
Pat Metheny: l'Esplorazione Continua

Tra le firme chitarristiche più riconoscibili al mondo, Pat Metheny si appresta a raggiungere in tour l’Europa, presentando il suo ultimo lavoro, MoonDial. Un nuovo capitolo registrato con chitarra baritona e corde in nylon che prosegue l’esplorazione sonora in solitaria di questo maestro.
Vorrei iniziare dal processo che ti ha portato a MoonDial. Nonostante tu abbia più di 50 album in discografia, per la prima volta hai concepito e registrato un album in tour. Cosa ha significato per te e come sei arrivato a questa scelta?
Ci sono diversi aspetti che rendono l’album unico ed è proprio uno dei miei obiettivi: cercare di offrire qualcosa di diverso rispetto a ciò che ho fatto prima. In questo, MoonDial si adatta al mio percorso di ricerca. Tutto è iniziato con l’album precedente, Dreambox, che è stato insolito per me, non ricordo nemmeno di aver registrato molte di quelle tracce. Ho una cartella con delle demo o degli esperimenti con nuovi strumenti, che poi spesso non riascolto mai. Ci sono centinaia di pezzi lì dentro. Un giorno ho pensato: “Be', forse dovrei dare un’occhiata”. Ho trovato un sacco di materiale che mi ha sorpreso e che ho continuato ad ascoltare. Ho pensato: “Se piace a me, forse piacerà anche ad altri”. Così ho raccolto quelle tracce ed è nato Dreambox. Fatto che mi ha dato una scusa per fare qualcosa che volevo fare da anni: andare in tour da solo, essere l’unico sul palco per due ore ogni sera e vedere se potevo farcela. Avevo fatto alcuni concerti di prova nel 2018 ed erano andati bene. Poi è arrivato il COVID e tutto si è fermato. Finalmente, quando Dreambox è uscito, abbiamo potuto organizzare una serie di nuovi live.
Che ruolo hanno giocato i live nella composizione?
Ho usato il tour come un’opportunità per esplorare tutti i diversi modi di suonare da solo che ho sviluppato nel corso degli anni, a partire da New Chautauqua, passando per Zero Tolerance for Silence e Orchestrion. Ognuno di questi album solisti ha il proprio carattere. Questo mi ha portato a One Quiet Night e What’s It All About, entrambi con la chitarra baritona e le due corde centrali su di un’ottava. Avevo sempre voluto provare una versione con le corde in nylon di quella chitarra, ma non trovavo mai quelle giuste. Il giorno prima dell’inizio del tour di Dreambox, ho scoperto la Magma Strings, una nuova azienda che aveva prodotto delle corde che si adattavano perfettamente alla mia accordatura. La prima sera del tour ho suonato un pezzo con quella chitarra ed è stato come scoprire un nuovo universo.
Quindi hai integrato sempre più quella chitarra nel tuo repertorio fino a tornare alle sessioni di registrazione...
All’inizio era solo un pezzo in scaletta, poi due, poi tre, e alla fine è diventata una parte significativa della performance. Dopo i concerti, restavo a suonare per un’altra ora. A dicembre, dopo circa 50 concerti, ho pensato che, finché tutto era fresco e nuovo, volevo registrare. Così ho messo da parte una settimana e ho registrato questo album. Come hai detto, è qualcosa che non ho mai fatto nel bel mezzo di un tour. A differenza di Dreambox, questo è un album di chitarra solista pura. In questo è più simile a One Quiet Night e What’s It All About, ma con le corde in nylon è davvero un’altra cosa. Il suono delle corde in acciaio negli altri album è un po’ intransigente, per così dire. Con le corde in nylon, c’è molto più spazio di manovra e molta più flessibilità per me.
Nell’album trovano spazio standard, brani tradizionali e inediti. Che direzione sta prendendo il tuo paesaggio sonoro?
In generale, sono piuttosto multidirezionale. Il mio focus principale è sempre stato quello. Anche se sono conosciuto come chitarrista, il mio vero lavoro in tutti questi anni è stato quello di band leader, deputato a scrivere il 90% della musica del progetto. Il mio compito allora è sempre stato trovare la musica giusta per far risaltare al meglio i membri della band, esaltando le loro capacità. Se qualcuno è particolarmente bravo in qualcosa, ci concentriamo molto su quella. In questo caso, la “band” è la chitarra baritona. Cerco di sfruttare al massimo ciò che quella chitarra sa fare bene. E penso che i pezzi sul disco riflettano questo. Non è lo strumento che sceglierei per suonare qualcosa come Moment’s Notice in tutte le tonalità e con un grande sassofonista. È molto più vicina alla musica da camera, in qualche modo. Suonare la chitarra baritona in quella accordatura è come disporre di tre strumenti a due corde su un unico manico. Le prime due corde alte sono come una viola, le due centrali come un violino e le due basse come un violoncello. Devi mantenere la coerenza tra queste tre voci. È quasi come non suonare affatto una chitarra, ma piuttosto dirigere una piccola orchestra. Con le corde in nylon poi posso avvicinarmi ancora di più a questo, evocando la chitarra classica.
Nel repertorio di MoonDial c’è una cover di Here, There and Everywhere. Cosa hanno significato i Beatles per te a livello personale e professionale?
Anche se sono spesso associato a una comunità di musicisti che improvvisano, il mio interesse principale è sempre stato la creatività. E la creatività che si è manifestata nei nove anni in cui i Beatles sono stati insieme è quasi senza paragoni in qualsiasi genere. Ogni loro traccia era diversa dall’altra. Ma trovare approcci innovativi è una cosa, costruirli attorno a contenuti melodici e armonici come hanno fatto i Beatles è un’altra. I loro migliori 50 brani sono allo stesso livello degli standard di Jerome Kern e altri. Sarò probabilmente la 5000sima persona ad affrontare quel particolare brano, ma ognuno trova qualcosa di diverso. E la melodia resta sempre intatta. Non puoi rovinarla. Per me, questo è ciò che rende qualcosa uno standard: è robusto come il titanio. Puoi farci qualsiasi cosa, e resterà sempre se stesso. Oltretutto quella canzone ha una particolare qualità armonica che la rende molto attraente anche per l’improvvisazione.
La chitarra baritona usata per MoonDial è stata costruita da Linda Manzer. Quanto hai partecipato al processo di creazione di questo nuovo strumento?
La mia relazione con Linda è stata incredibile nel corso degli anni. È stata una grande collaboratrice, capace di interpretare le mie idee. Detto ciò, per quanto riguarda la costruzione effettiva dello strumento, non ho avuto nulla a che fare con essa, perché non so nulla di chitarre in termini di legno e altro. Gli unici aspetti a cui posso contribuire sono la sensazione del manico, la scala dello strumento e il modo in cui si amplifica il suono, sul quale ho un po’ più di esperienza, avendo passato molto tempo con questi strumenti sul palco.
Quest’anno ricorre anche il 40° anniversario della chitarra Picasso costruita dalla stessa Linda Manzer. Potresti raccontarci alcune delle sfide e dell’impatto che questo strumento ha avuto sulla tua produzione?
Ricordo che quando l’ho ricevuta per la prima volta, sono stato lì a guardarla per circa un mese senza nemmeno prenderla in mano, cercando di pensare: “Ok, cosa faccio ora che lei l’ha realizzata?”. E la prima registrazione in cui l’ho usata è stata Song X. Poi l’ho utilizzata in molti modi diversi nel corso degli anni, inclusa una sorta di versione cromatica. Ci ho messo tanto a capirlo, ma il vero punto di forza di quella chitarra si esprime quando riesci a trovare un modo di suonarla che non sia esattamente diatonico a una chiave, ma che ti permetta di rimanere diatonico a due o tre chiavi correlate.
In questo numero della nostra rivista, stiamo parlando di come funzionano oggi i tour e i concerti dal vivo. Potresti dirci qualcosa del tuo prossimo tour e dello spettacolo che dovremmo aspettarci?
Anche se lo spettacolo è attorno a Dreambox, e ora anche a MoonDial, in realtà, come dicevo prima, lo sto usando come un’opportunità per ripercorrere tutti i diversi modi in cui ho presentato la mia musica da solista nel corso di molti anni. Nello spettacolo, c’è comunque molto di più di un tizio da solo con la sua chitarra per tutta la sera. Sicuramente una parte importante della serata si basa su di me che suono da solo. Ma accadono tante altre cose sul palco che portano il live in una dimensione completamente diversa. Sviluppandosi, è diventato uno dei miei set preferiti, diversissimo da qualsiasi cosa abbia mai fatto sul palco prima. Molti di quelli che mi hanno visto negli anni precedenti potrebbero forse pensare di sapere cosa aspettarsi, ma non è così. È una serata piuttosto divertente. C’è molto interesse e molta richiesta in tutto il mondo, verrò in Europa (Italia compresa, NdR), cosa che mi entusiasma molto.
Guardando al passato della tua carriera, che tipo di rapporto hai sviluppato e mantenuto con i tuoi vecchi successi discografici?
Penso di essere molto tipico sotto questo punto di vista perché, come sento molti musicisti dire, una volta che hai finito di scrivere la musica, provarla, registrarla, mixarla ascoltandola mille volte e masterizzarla. Beh a quel punto, non vuoi mai più sentirla in tutta la tua vita. Tuttavia, c’è un altro aspetto da considerare: scrivendo la musica, molte delle composizioni in sé hanno delle caratteristiche, degli argomenti, per così dire, che ritengo ancora validi. Hanno ancora qualcosa da dire. Posso ancora suonare tutti i brani di Bright Side’s Life, che è stato il mio primo disco ormai 50 anni fa. Non posso suonarli magari nello stesso modo oggi come allora. Non sto nemmeno dicendo che li suonerei meglio, ma sicuramente in maniera diversa.
Di solito ci piace concludere le nostre chiacchierate con gli artisti chiedendo tre suggerimenti: innanzitutto, uno strumento o un pezzo di attrezzatura che dovremmo provare.
Wow, è una buona domanda. Farò qualcosa di davvero sfacciato, consiglierò il mio nuovo modello signature Ibanez che sta per uscire e che monta la nostra versione di un pickup Charlie Christian. Penso che per alcuni avere un proprio strumento signature sia una specie di espediente promozionale. Nel mio caso, ho preso la cosa molto sul serio perché, negli ultimi anni, mi sono davvero interessato a questo tipo di suono single-coil dei pickup Charlie Christian. C’è quasi una piccola setta di persone interessate a quel suono. Ho cercato di comprendere profondamente come questi pickup arrivano a fare quello che fanno. Ho avuto un ottimo rapporto con Ibanez nel corso degli anni e loro sono scesi in questa “tana del bianconiglio” insieme a me per arrivare, penso, a una visione moderna ed economicamente abbordabile di ciò che quel tipo di pickup può offrire a una cosiddetta chitarra jazz. Abbiamo aggiornato il normale modello PM rendendolo anche esteticamente davvero interessante, un po’ imparentato con i primi modelli di chitarre elettriche pre-bellici.
Il secondo sarebbe uno spettacolo dal vivo a cui dovremmo andare o riscoprire.
Ho avuto la fortuna di vedere l’opera Tristano e Isotta di Wagner alla Metropolitan Opera di New York sotto la direzione di Sir Simon Rattle un paio di anni fa. Prima di tutto, quell’epica di Wagner è, di base, tre ore e mezza su un accordo di settima minore diminuita, il che è semplicemente incredibile, considerando quello che ne viene fuori. Inoltre Sir Simon è il mio direttore preferito e la Met Orchestra è una delle migliori al mondo. È stato così bello che sono andato a vederlo tre volte.
E infine un disco che dovremmo ascoltare.
C’è una registrazione uscita un paio di anni fa di Monk con Coltrane alla Carnegie Hall. Per me, quello è stato un momento straordinario per Coltrane, con brani incredibili che sono alcuni tra i migliori mai registrati in assoluto. Quel periodo è qualcosa di speciale per me e torno spesso ad ascoltarlo, solo per godermi le scoperte sonore incredibili che stava facendo in quel momento.