Interviste

Interviste di Redazione | 01-08-2024

Beatrice Antolini: Suoni da Iperborea

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Beatrice Antolini: Suoni da Iperborea

Creazione, produzione, autentica passione per il suono. Queste le cifre della personalità artistica di Beatrice Antolini, mentre vede la luce il suo nuovo e attesissimo lavoro in studio: tra strumenti vintage, orchestrazioni, aggiornamenti sonori e sguardo sul presente.

Partirei da Il Timore, singolo che anticipa ed è anche l’opener di Iperborea. Ha avuto una gestazione lunga o lo hai immaginato subito quel paesaggio sonoro ricco di archi? 

Quando scrivo un brano lo porto quasi al termine come produzione. Chiaramente poi in studio magari rifaccio le batterie, qualche chitarra, la linea di basso, aggiungo la voce lead, ecc. Io lavoro così, creando l’arrangiamento completo e scegliendo poi cosa rifare in studio. Per esempio il piano a coda, prima lo registro in Virtual Instruments, poi lo rifaccio in studio con lo strumento. Quanto agli archi, a me piacciono parecchio, amo scrivere per loro e l’ho sempre fatto. In precedenti lavori avevo già utilizzato quartetti d’archi o violoncello solo. Questa volta però ho coinvolto un’orchestra di 30 persone e l’elemento orchestrale è sicuramente una novità di questo disco che mi entusiasma, perché mi ha permesso di collaborare con un direttore e dei musicisti eccezionali.

Per la prima volta un album interamente in italiano. Quali possibilità e sfide espressive hai ritrovato nella nostra lingua?

A volte mi sembra che da noi si giudichi solo il cantato. Ma io sono un essere anomalo per il mio rapporto con lo strumentale: mi piace ricevere complimenti come “oh figo questo groove”. In italiano però la linea vocale richiede ancora più attenzioni e determinati temi bisogna trattarli meglio, suonando bene con le parole. Il fatto che abbia cantato tantissimo in italiano negli ultimi anni, come nel singolo “Il Grande Minimo Solare”, mi ha portato a migliorare molto.

“Il Grande Minimo Solare” che, all’ascolto e col senno di poi, suona quasi come un preambolo de Il “timore”...

Bravissimo! La volontà è stata proprio quella lì. Mi sono chiesta quale pezzo potesse essere il miglior ponte fra il “Minimo Solare” e il disco? “Il timore”, che è comunque “medio-morbido”. Ho preferito non iniziare subito con i pezzi più sonori di Iperborea, per sottolineare meglio la trasformazione.

L’album è nato tutto insieme come concept coerente o è una selezione di tanti brani che avevi conservato nei cassetti?

È stato tutto abbastanza magico, il disco è nato in pochissimo tempo, perché nel mezzo sono stata via per altri progetti. Ho iniziato a fine febbraio-marzo dell'anno scorso per arrivare già a maggio a registrare in studio, con già tutta la pre-produzione in tasca. Ci sono anche dei brani che ho ripreso. Ad esempio, “L’arte dell’abbandono”, a livello di giro armonico e idee, era con me da tanti anni. L’ho ripreso e trasformato, dandogli la giusta dignità. Secondo me è uno dei pezzi migliori del disco. 

Come è stato il tuo flusso di lavoro in studio per l’album? 

Lavoro molto da produttore e in effetti mi sono sempre identificata come tale. Non mi piace essere definita polistrumentista, perché in realtà non è che sia una performer di quel tipo; al massimo ho cercato di suonare quello che ho fatto nei miei dischi a volte sui palchi, più come necessità espressiva. Poi ti dico: è stato bellissimo anche stare in Fonoprint, a fare tutto il lavoro di post-produzione, di messa a fuoco delle parti, in uno studio fantastico e in compagnia di Claudio Adamo, con cui lavoro anche live e che considero un fratello.

Se ripensi alla tua carriera nella produzione, senti di essere cambiata molto nell’approccio e nella scelta degli strumenti nel tempo? 

Ho iniziato molto analogica e purista. Per i primi dischi andavo a prendere i Rhodes da Scolopendra a Bologna, mi portavo su la marimba, sceglievo solo amplificatori vintage: ero proprio in fissa. Il master di Big Saloon, ad esempio, l’ho fatto passandolo su nastro, sui vari Studer. È stato bellissimo frequentare quel mondo analogico. A un certo punto, ho capito che la cosa importante è il suono, chi se ne frega come lo realizzi. Per me quindi è ora interessante cercare suoni moderni, aggiornando le librerie con le ultime uscite sul mercato. Poi sono molto curiosa e comprare alcune librerie di suoni mi stimola tantissimo a scrivere. Sono molto felice di come suonano fresche le parti elettroniche in “Iperborea” e “Pensiero laterale”.

Come hai immaginato i live che seguiranno l’uscita dell’album?

Ho una band eccezionale, sarà un live secondo me molto valido: in prova ho sentito subito che è la band giusta per questo disco. Sarà tutto ancora più vibrante, perché quando si suona dal vivo, si crea una bella vibrazione anche nell’aria, fra te, le persone che hai davanti, i musicisti che hai accanto. Tutto è più vivo, è il momento della soddisfazione massima.

E quale sarà invece il tuo set-up live? Come ti muoverai tra le varie canzoni e strumenti? 

Con questi brani ho voglia di pensare a cantare e guardare il pubblico. Voglio essere presente a quello che sto dicendo. Sono una che ha suonato sempre tantissimo, ma il disco io l’ho già suonato in studio,  va bene così. Non devo dimostrare sul palco di saper suonare le percussioni, il pianoforte, i synth. Mi appoggerò sulla band e penserò a fare la cantante.

La tematica del numero è “Dai social al palco”. Che rapporto hai con le piattaforme in relazione anche alla tua professione?

Li uso e anche parecchio. Però mi sento di dire questo: come già in L’AB, anche in questo album ci sono riferimenti critici all’argomento. In “Pensiero laterale”, canto “riduzione a dati, il sé ridotto a nulla”: oggi siamo alla deficienza algoritmica, sinceramente. I social vanno bene e tutto, ma dobbiamo sempre ricordarci che sono gestiti da enti privati, che  possono quindi decidere che si debba per forza avere un pensiero unico. Non hanno a cuore il nostro disco, la nostra vita e, se non paghi, è perché il prodotto sei tu. Stiamo vivendo l’era della meccanica all’ennesima potenza, in una società globalista che mi pare alimentare sempre i desideri più bassi e la felicità più effimera. Siamo sommersi da una proposta di acquisto costante e per le aziende siamo più mucche da mungere che persone. Questi aspetti a me non è che piacciano tanto, il disco ne parla ampiamente.

Poi se ne può fare un uso anche sano: l’importante è non smettere di avere spirito critico. E penso di averne tanto, forse anche perché per me il successo è la libertà, è saper creare il tuo posto nel mondo, con la tua etica, la tua coscienza, la tua conoscenza, allineando al tuo percorso interiore quello esteriore. Come diceva Lucio Dalla, la paura più grande è quella di non cambiare, io invece cerco sempre di farlo perché il successo è non aver paura, sentirsi completi. Non c’entrano i numerini su social e piattaforme, spesso anche dopati. Penso ora il problema sia soprattutto di chi cerca di emergere, ma lo è stato anche per me. I miei primi due dischi, Big Saloon e A Due, hanno avuto all’epoca grande riscontro di critica, ci ho lavorato tantissimo. I social erano però ai primordi all’epoca e su Spotify, per dirti, quei dischi sono stati ricaricati molto dopo. La gente magari non lo sa, ti dice “con questo disco c’hai pochi ascolti”. La verità è però che magari ho venduto 3000 copie fisiche e l’ho dovuto ricaricare in digitale dopo 8 anni.

Ti sblocco un ricordo romantico, dai: in una vecchia intervista tempo fa vendesti un Moog, non prima di marchiarlo con la tua B. Lo hai più ritrovato? Ti sei legata sentimentalmente ad altri strumenti?

Purtroppo no, perché nel frattempo ho dovuto comprare 780.000 strumentazioni diverse. Non mi faccio mancare niente, ogni tour che ho fatto ho avuto una strumentazione diversa, sia da solista che in altre situazioni. Quel Moog magico è in giro chissà dove, prima o poi ci rincontreremo, sono sicura.

Ci consigli qualche strumento da provare, un live da recuperare e un album da ascoltare?

Innanzitutto, pensando ai miei partner storici, Pearl e Yamaha, mi sono trovata super bene a usare una batteria Pearl Reference con piatti Sabian HHX e un piano a coda Yamaha. Per il disco ho usato anche un basso vintage Fender Precision, sempre una sicurezza. Da un po’ di tempo inoltre trovo molto interessanti i pad e/MERGE Hybrid powered by Korg, che sono dei mesh stupendi. Per i live, direi tutti quelli di Stevie Wonder. Per gli album, ti direi Assume Form di James Blake che è un cantante e produttore bestiale, autentico come piace a me.