Osservatorio
Coverstory SMMAG! 13: Dal Mercato al Destkop

Se stai sfogliando questa rivista c’è un’altissima probabilità che anche tu sia un musicista. Non importa a quale livello o quale sia lo strumento che suoni; quello che conta è che uno di quegli strani oggetti abbia folgorato ad un certo punto della vita anche te, facendoti scattare una molla ancora dura a morire. Per alcuni è stato determinante l’ascolto dei dischi che avevano in casa, per altri l’influenza dei coetanei che inseguivano il sogno di formare una band, per altri ancora il gruppo o la rockstar visti in tv o ascoltati nelle rotazioni radio. Di motivazioni per prendere in mano una chitarra, un basso o le bacchette di una batteria o poggiare le labbra su un’ancia ce ne sono a centinaia, ma quali sono i fattori che hanno orientato e che continuano ad orientare queste scelte? Che ruolo hanno giocato i mezzi di comunicazione, i tormentoni, le mode e i trend nell’influenzare il mercato degli strumenti musicali?
Sicuramente, come ogni fenomeno di costume, la musica ha vissuto numerosissime stagioni che hanno visto al loro interno il fiorire di correnti e stili differenti e ciascuno di essi ha finito con l’assumere una forma ben precisa, spesso scolpita (anche) dalla tipologia di strumento a cui ricorrevano i suoi interpreti di maggior rilievo. Per comprendere ancora più a fondo questo concetto dovremmo fare, forse, uno sforzo d’immedesimazione, dovremmo mentalmente ritornare alla nostra adolescenza e recuperare quella sensazione elettrizzante che solo la nostra rockstar preferita era capace di trasmetterci con la sua chitarra, o alle vibrazioni suadenti di un basso, al trillo di un sintetizzatore o allo squillo poderoso di un sassofono. Ecco, quelle emozioni si sono ripetute praticamente uguali a loro stesse di generazione in generazione, eppure nelle vetrine dei negozi di musica i prodotti si sono alternati sempre di più quasi cercando di intercettare il gusto dei più giovani che a loro volta dalle pagine delle riviste di settore, dalla tv o da internet hanno puntellato i trend più in voga. Proviamo, però, a fare ordine.
La dimensione domestica ha da sempre avuto un peso specifico, specialmente a partire dalla diffusione globale della musica rock e pop, sia sotto il profilo della disponibilità dei dischi distribuiti sul mercato sia sotto il profilo dell’accessibilità agli strumenti musicali. Tra gli anni ’60 e la prima metà degli anni ’70 era ovviamente meno frequente di oggi avere una chitarra o anche un altro strumento in casa per una ragazza o un ragazzo, e spesso le famiglie possedevano strumenti poco vicini alle tendenze di quell’epoca e più facilmente riconducibili all’ambito della musica classica, come ad esempio un pianoforte, o alla tradizione popolare locale, nettamente meno appetibili per i più giovani. A ciò si deve aggiungere che in quegli anni solo le famiglie più abbienti potevano permettersi uno (o più) strumenti musicali per i figli, e così spesso la musica rimaneva un hobby appannaggio di un numero ristretto di persone.
Questo stato di cose è rimasto valido fino all’avvento della beatlemania, della british invasion e più in generale fino alla scossa travolgente del rock; da quel momento in poi il mercato degli strumenti musicali non sarebbe più potuto rimanere fermo a guardare: le nuove generazioni avevano bisogno di iniziare a vivere la musica in modo più completo, senza limitarsi ad ascoltarla. Da questo punto di vista, però, continuava ad esistere un problema di accessibilità al mondo della musica suonata, dal momento che le sole possibilità erano offerte dal settore dell’artigianato oppure, completamente agli antipodi, dai grandi brand d’oltreoceano che assicuravano grande qualità ma appetibili per poche tasche. Fu necessaria l’entrata in campo dell’industria giapponese per uscire da questo stallo: strumenti di qualità a prezzi più che ragionevoli rappresentarono la summa perfetta per far avvicinare la marea di ragazzi e ragazze pronti ad acquistare il loro primo strumento. Da questa fase in poi, gli strumenti finirono con il diventare anche (ma non solo) beni di consumo, appartenenti ad un universo commerciale che cominciava allora a conoscere centinaia di sfumature differenti.
Il 1° agosto 1981, da New York, veniva lanciata nell’etere americano la prima programmazione ufficiale di MTV, ovvero l’emittente musicale che parlava ai teenager e che avrebbe impresso al mondo della musica una svolta incredibile. Il primo videoclip trasmesso da MTV fu l’iconica “Video killed the radio star” che, non senza una certa dose di arguzia, in qualche modo era riuscita a prevedere gli effetti che avrebbe prodotto il canale tematico sull’intera industria: su base giornaliera era, infatti, possibile assistere alle produzioni dei propri artisti preferiti senza dover pagare il biglietto del concerto, e questo divenne fin da subito una nuova lente attraverso cui scrutare il pop, il rock, l’hip hop e i loro interpreti. I diversi generi acquisivano una riconoscibilità visiva ancora più marcata rispetto al passato, lo stile musicale iniziava a passare, oltre che dai brani, anche da elementi più distintivi come la presenza scenica degli artisti, la creatività nel realizzare un videoclip incisivo e, non ultima, la strumentazione che sceglievano di mostrare davanti alle telecamere. Parliamo di un fenomeno già noto nella discografia, ovviamente, ma l’accessibilità agli strumenti da parte degli ascoltatori e l’enorme cassa di risonanza della televisione furono forse la tempesta perfetta che finì per consolidare negli spettatori l’idea che esistesse uno specifico linguaggio codificato in modo chiaro per ritenersi appartenenti ad un genere, ad una sottocultura o ad un trend del momento, e in questa concezione gli strumenti suonati dalle star avevano un ruolo di primo piano.
Proprio l’avvento della tv rese più commercializzabili alcuni generi che ispiravano nei fan un forte spirito di appartenenza come il metal, o le nuove espressioni del rock alternativo; correnti, queste, che si mostravano più aggressive e graffianti e che restituivano tale immagine non solo attraverso le loro opere ma anche sfoggiando chitarre dalle forme più estreme e fuori dai canoni classici. Basti pensare alla Lado Earth impugnata da Adrian Smith per il video di “2 Minutes to Midnight” degli Iron Maiden, o alla Ibanez Destroyer usata nelle riprese del brano “18 and Life” degli Skid Row, o alla Washburn RR11V che nel videoclip di “Princess of the Universe” rimpiazza la leggendaria Red Special, quasi un peccato di lesa maestà! La trasgressività e l’eccesso di quel periodo era necessario passassero anche da un immaginario chiaro e riconoscibile, ed ecco che le forme aguzze e spigolose venivano in soccorso a fare da contorno ai vari suoni metallici che si imponevano nelle librerie discografiche dei ragazzi.
Non solo le chitarre però si erano guadagnate il centro della scena, ma era tempo anche di dare una forma e un nome anche ai suoni nuovi (o meno nuovi) protagonisti delle grandi hit. Ecco allora comparire le prime consolle da DJ nei videoclip dei brani hip hop come in “Rock Box” dei Run DMC del 1984 dove vediamo due giradischi Technics SL-1200 e un mixer GLI 9000 scratchare al fianco di chitarra e tastiera, ottenendo la stessa “dignità” degli altri strumenti. Si vedevano anche trasposti sui tasti bianchi e neri dei sintetizzatori effetti e sound innovativi di quell’epoca, basti pensare a Herbie Hancock che nell’inquietante video di “Rockit” del 1983 sfoggiava un preziosissimo Fairlight CMI da oltre ventimila dollari, da cui prendevano vita le sinistre note del refrain su cui danzavano robotici i manichini.
La risposta sul mercato non si fece attendere. Gli anni ’80, infatti, furono anche il decennio in cui esplose la tendenza dei brand a creare modelli signature dei propri strumenti, trasformando questa pratica in un paradigma commerciale rivolto alla massa più che alle reali esigenze degli artisti. Si veniva a formare un maggiore senso di desiderabilità del marchio e dell’oggetto in sé perché sinonimo di partecipazione del pubblico al fenomeno culturale (come ad esempio i modelli entry-level della Ibanez RG realizzata sul modello della JEM di Steve Vai). Un modo di fidelizzare il pubblico talmente funzionale che ancora oggi il mercato signature continua ad essere prolifico, quasi tutti i brand hanno stretto accordi con artisti per delle linee dedicate rendendo gli strumenti un qualcosa che non solo scandisce il trend di un’epoca, ma aiuta le persone a sentirsene parte integrante.
Alcuni strumenti musicali hanno poi ricoperto un ruolo così impattante da diventare simboli di un momento della cultura popolare internazionale, approdando su altri media come veri e propri protagonisti. Chitarre e chitarristi centrali in molti film: tutti ricordiamo Marty McFly in “Ritorno al futuro” barcamenarsi tra l’intramontabile Gibson ES-335 e l’esotica Erlewine Chiquita gialla, o ancora il duello chitarristico del film “Mississippi Adventure” tra Ralph Macchio e Steve Vai, ma non si vive di sole chitarre.
Il sassofono, oltre ad essere stato uno dei protagonisti centrali della scena musicale fin dai tardi anni ’70, ha giocato un ruolo importante nel modellare l’iconografia pop che è ancora oggi impressa nella memoria collettiva. Da strumento jazz per eccellenza, il sax è diventato il comprimario di innumerevoli produzioni popolarissime come l’immortale “Baker street” fino a “Infinity” del 1989 (poi ripresa nei primi anni 2000), e proprio in quell’anno vediamo una consacrazione al mondo giovanile. I Simpson sbarcano in tv nell’89 e la secondogenita Lisa ha come tratto distintivo proprio quello di essere una sassofonista in erba, portando nell’universo cartoon gli ottoni in un modo irriverente e probabilmente inedito. Tale popolarità sarebbe poi stata sfruttata anche dall’allora futuro presidente USA Bill Clinton che durante la campagna elettorale per le presidenziali del 1992 si esibì suonando il sassofono in una puntata del late-night show Arsenio Hall, accattivandosi secondo gli analisti il favore dell’elettorato più giovane.
C’è stato un periodo, insomma, in cui determinati strumenti musicali in mano a certi artisti, o in determinati prodotti artistici o di intrattenimento erano in grado di spostare equilibri commerciali e non solo, proprio grazie al potere di appartenenza di cui sopra. Ma poi cosa è successo? È cambiata la musica, è cambiato il modo di produrla e di conseguenza è cambiato il portato dell’industria degli strumenti.
Con l’avvento della digitalizzazione i trend e le “mode” sembrano essere migrati maggiormente verso il suono più che verso un determinato strumento musicale da esibire su un palco: un genere si distingue forse più dalle sonorità, dalle tecniche di produzione e sono diventati questi i mezzi con cui dimostrare adesione ad un movimento culturale. Su tutti l’auto-tune è il software che si sta delineando come il “must have” dei nuovi generi, uno strumento digitale che da segno distintivo della trap sta piano piano penetrando in altre correnti musicali trasformandosi in una sorta di cult per le nuove generazioni.
Da tempo l’industria musicale sta attraversando numerosi mutamenti e quello degli strumenti è solo la punta di un iceberg molto più grande. Le DAW oggi sono elementi imprescindibili per le nuove creazioni, ma riescono a creare delle icone durevoli nel tempo? Tra vent’anni ci ricorderemo di un supporto digitale così come facciamo oggi con una Flying V? Probabilmente no, ma sta a noi saper valorizzare oggi quella che è la sostanza artistica delle nuove opere, e magari grazie a questo esercizio sarà possibile associare valori più profondi alle produzioni di questi anni ’20.
![Il Sabato di [UNVRS] è Marchiato Elrow](https://staticn.strumenti.net/750/2025/11/18/e7/sabato-unvrs-marchiato-elrow-mobile.webp)


