Osservatorio
A Tu per Tour, Musica in Viaggio

Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatte le nostre storie. Storie che ci riguardano, che ci coinvolgono, che ci mettono alla prova, ci formano e rendono ciò che siamo. E, da che mondo è mondo, le storie più significative e universali si fanno in viaggio. L’Odissea, ancora oggi tra le più conosciute e amate narrazioni del nostro universo culturale, appartiene non a caso a quel genere che i greci chiamavano nostos, il racconto di un ritorno e del suo impatto sui viaggiatori tappa dopo tappa, insidia dopo insidia. Molti, specie tra chi mastica un po’ di marketing e comunicazione, si sono addirittura spinti ad affermare che tutte le storie di successo, scritte, rappresentate o sceneggiate dall’Odissea in poi, sono in fondo e almeno in parte basate su quell’archetipo narrativo che è noto come “viaggio dell’eroe”. Chiedere a Shakespeare e Walt Disney per conferma!
La musica e lo spettacolo sono per antonomasia beni in viaggio e questo è vero almeno da quando l’uomo ha memoria. Si pensi ad esempio agli spettacoli itineranti che nei secoli scorsi portavano intrattenimento, novelle e suoni di villaggio in villaggio, animando le comunità e avvicinandole tra loro, creando un senso comune dell’estetica, accessibile a tutti. Per noi italiani è facilissimo immaginarlo, grazie alle bellissime pagine che Carlo Collodi ha dedicato al “Gran Teatro dei Burattini” di Mangiafuoco. Ma, senza scomodare altri colossi della letteratura, a noi figli del pop e del rock’n’roll, dovrebbe essere ben chiaro il valore e l’importanza del viaggio musicale.
Quando la discografia ancora faceva grandi numeri con la vendita di supporti fisici, gli album registrati in tour e i film dei concerti erano un’assoluta garanzia di successo. Su questo gli artisti britannici sono sempre stati assoluti maestri: si pensi al Rock In Rio degli Iron Maiden, Live At Wembley ‘86 dei Queen, o al live Unplugged di Eric Clapton, il disco live più venduto di sempre, con 26 milioni di copie all’attivo.
Ma, al di là di queste consacrazioni discografiche, proprio nella dimensione del tour e del viaggio, si sono create alcune delle più note e celebrate leggende della musica contemporanea, nel bene e nel male. Innanzitutto, proprio per le esigenze di vita dei progetti musicali, costretti da sempre a mantenersi e a crescere promuovendosi “sulla strada”, molti degli album che ascoltiamo e amiamo ogni giorno sono nati proprio sui tour bus, durante i frenetici trasferimenti tra un live e il successivo. È proprio lì, nel momento in cui le tensioni e le ispirazioni degli artisti sono concentrate in quella bolla che si muove nello spazio, che si crea la magia. A chi scrive, grande fan dei Pearl Jam, vengono subito in mente le immagini di Stone Gossard ed Eddie Vedder che, nel ‘92, durante il tour di Ten, abbozzano insieme, chitarra e voce, quella che diventerà Daughter, capolavoro portante del successivo album Vs.
Purtroppo, va detto, ai tour sono riconducibili anche alcune delle pagine più tristi e oscure della storia della musica. Tragedie come la scomparsa di Cliff Burton, bassista storico dei primi Metallica, in Svezia nel 1986 o come l’incidente aereo che stroncò la carriera dei Lynyrd Skynyrd e la vita di Ronnie Van Zant, Steve e Cassie Gaines, in una vera “Superga del Rock” nel 1977, sono solo alcune delle storiacce che vengono in mente.
I tour musicali continuano a rappresentare al contempo una “cash cow”, un banco di prova e un momento di forte riflessione e ispirazione per gli artisti. Sono punto focale nella vita professionale di interpreti, band e cantautori diversissimi tra loro, un assioma che rimane valido ancora oggi, nonostante siano cambiati e non poco i paradigmi di ascolto e fruizione della musica. Ma, quando si mettono da parte leggende e mitologia dei tour, cosa rimane? Come vengono organizzati oggi questi “viaggi musicali” nella stragrande maggioranza dei casi? Quali sfide vengono affrontate e quali soluzioni adottate per far girare la macchina dei live a dovere, nonostante tutto e tutti?
C’è innanzitutto da ricordare che l’economia dei live e dei tour è così vitale per la maggior parte degli artisti nel contesto odierno che le vecchie logiche di consequenzialità disco-tour sono ormai ampiamente superate. In una recente intervista rilasciata a SMMAG!, Rodrigo D’Erasmo, violinista degli Afterhours, sottolineava come ormai molti dei suoi colleghi fossero in una sorta di stato di tour perenne. Senza grosse novità all’interno della propria produzione, si è comunque sempre pronti e con il flight case in mano. Per il musicista di livello medio, per l’indipendente e l’emergente, infatti, i guadagni dalle royalties e da altre attività collaterali in cui si può essere coinvolti stando nel proprio quartier generale (formazione, composizione per l’audiovisivo, ecc.) non bastano praticamente mai e molto raramente “pagano” nel breve periodo. Inoltre, al di là della loro imprescindibilità come fonte di revenue, i tour sono una necessità per mantenere la propria carriera viva e vegeta. Sia per chi è agli inizi, sia per chi non è mai arrivato alla dimensione da stadio, senza portare la propria musica in giro si fa presto a sparire.
A questo punto, va aggiunto un ulteriore livello di complicazione: il momento economico in cui ci troviamo non è particolarmente favorevole all’organizzazione dei tour. L’inflazione, il prezzo del carburante e l’innalzamento generale del costo della vita sono tutte dinamiche che hanno un importante impatto sull’economia dello spettacolo in viaggio. La fetta, già non proprio abbondantissima per gli artisti, continua a essere rosicchiata. Tra l’altro, considerando che la maggior parte delle date dei tour si concentra in estate, nei mesi in cui il nostro Paese è turisticamente più attivo nella maggior parte delle regioni che lo compongono, diventa spesso complicato trovare alloggi “a prezzi calmierati” in Italia. Certo i buon vecchi van e veicoli commerciali Ford, Volkswagen, Fiat e simili hanno delle sedute comode, ma un intero tour in pulmino senza soste in albergo, per quanto possa suonare romantico e avventuroso, non può essere un’opzione. Specie per chi vive di musica dal vivo da un po’ di anni.
Per marginare, torna fondamentale il merchandising, un giro d’affari enorme per i grandi nomi (basti pensare che il merch degli Arctic Monkeys ha un volume di ricerca medio di quasi 72.000 utenti ogni anno, fonte: SearchVolume.io), ma importantissimo anche per pesci più piccoli. Se è vero, infatti, che oggi molti artisti partono in tour senza aver per forza nuovo materiale discografico a disposizione, non si dovrebbe mai mettere in moto “la macchina”, con tutti gli sforzi e gli investimenti che questo comporta, senza avere dalla propria almeno un’idea e un modello vincente di merchandising da collegare allo spettacolo che si sta portando in giro. Al di là dell’evergreen della “band t-shirt”, è bene lavorare di ingegno e farsi venire idee originali e uniche, legate allo specifico tour. Guerrilla marketing, brainstorming tra artista, management e label, tutte le risorse dovrebbero essere messe a sistema e attivate su questo. Il gioco vale sicuramente la candela.
La pianificazione è in generale la chiave per il successo di un tour ed è perciò naturale che oggi si guardi ai professionisti che la gestiscono con un’attenzione sempre crescente. Le agenzie di booking e i booking agent si sono moltiplicati a dismisura nell’ultimo decennio in Italia e sono diventati l’organo più in forze di quell’apparato che regola la vita professionale degli artisti musicali. Spesso, soprattutto tra gli artisti emergenti, sono molto più richiesti e ricercati anche delle etichette discografiche. Non a caso sono anche nati tantissimi corsi professionalizzanti in Booking Management. Qualcosa di impensabile qualche anno fa, quando a questo mestiere si accedeva unicamente attraverso anni e anni di cimento, gavetta e conquista di competenze trasversali, contemporaneamente da tour operator, PR, consulente del lavoro, esperto di recupero crediti, e tanto altro ancora.
Chi fa questo mestiere deve avere dalla sua l’intuito e la sensibilità per riconoscere partner, impresari e organizzatori di eventi locali affidabili, ma anche per scegliere venue adatte ai propri artisti. Senza dimenticare l’ostinazione e la diplomazia necessarie per ottenere le migliori condizioni possibili a ogni data. Inoltre precisione e perfezionismo non guastano, visto che ai booking agent si chiede di raccogliere e condividere tempestivamente tutte le informazioni utili per la band o il musicista nei diversi giorni di viaggio (orari, itinerari, ristoranti, referenti nella location del live, cachet, ecc.),
A fare la differenza tra un tour che funziona e uno da incubo poi è ovviamente chi va sul campo e segue in tour gli artisti. Anche in questo ambito, negli ultimi anni, si è assistito a una analoga e progressiva professionalizzazione di figure che si perdevano nelle nebbie dei miti musicali. Nell’immaginario collettivo, il roadie che guida l’usuratissimo van della band, scarica e monta la backline, risolve problemi (anche col pugno duro se necessario) e ripara strumentazione con un’abilità degna di MacGyver è ben presente. Tutti abbiamo amato, nel 2018, l’interpretazione di Viggo Mortensen in Green Book, nei panni di “Tony Lip”, un buttafuori del Bronx diventato roadie per il pianista Don Shirley. Non che quel tipo di road manager non esista più, sia chiaro. Sicuramente per chi segue band o artisti agli inizi, il lavoro rimane in fondo quello. Ma si tratta solo di un primo passo verso una carriera che porta oggi i tour manager a essere, oltre che degli esperti di musica live, in sintonia con gli artisti che seguono, anche dei professionisti della logistica, l’interfaccia perfetta tra chi sale sul palco e le crew che si trovano in loco, nonché i servizi di hospitality e chi si occupa di trasferimenti.
Chiaramente, il presupposto è che ci sia budget sufficiente per permettersi di coinvolgere una figura chiave con così tante skill. Per gli emergenti la cosa non è affatto scontata e i trasferimenti in autonomia sono ovviamente la realtà per tantissimi. Olio di gomito, capacità di fare networking con realtà culturali e altri emergenti, tanta intraprendenza: i tour per molti vogliono dire soprattutto questo. Nella fase embrionale della propria carriera, ci si deve concentrare innanzitutto sullo spettacolo che si prepara e porta in giro e, parallelamente, sulla propria capacità di riconoscere le opportunità giuste per il momento professionale in cui ci si trova.
Difficilmente si potrà subito tirare dentro il progetto una booking agency di grido. Bisogna però saper riconoscere le booking piccole, laboriose e vivaci, magari del proprio territorio, distinguendole da quelli che sono semplici venditori di servizi pay to play camuffati da organizzatori di concerti e manager. Banalmente bisogna avere la lucidità per comprendere cosa è un’opportunità o un investimento su sé stessi, e cosa è invece una spesa a perdere, senza un reale beneficio. Ad esempio, riuscire tramite un piccolo booking a fare un mini-tour in Italia di 6-7 date senza guadagnarci, né perderci, può essere dopo un paio di anni di attività nel “giardino di casa propria” una gran cosa. Fare una singola apertura a 800 km da casa, pagando per esserci, potrebbe non essere una grande idea. Per il resto, c’è da provare e riprovare, perché oggi come ieri “it’s a long way to the top if you wanna rock’n’roll”.