Osservatorio
Come Out & Play: il Bello della Musica alle Strette

Primavera 1994: in una calda e soleggiata California, ci si prepara ad accogliere il più grande evento sportivo al mondo. Al Rose Bowl di Pasadena, infatti, verrà ospitata nel luglio successivo la finale della prima Coppa del Mondo di calcio a stelle e strisce. L’aria è giustamente festosa, c’è tanta voglia di consegnare al resto del pianeta la migliore immagine possibile di sé. Così come è vero però che non è oro tutto ciò che luccica, nel Golden State a luccicare purtroppo sono spesso le pistole. La street violence è ai suoi massimi storici e sono ancora negli occhi di tutti le sommosse razziali di due anni prima, le cosiddette “LA Riots” scoppiate in aprile a seguito dell’assoluzione dei poliziotti che si erano macchiati dell’omicidio del tassista afroamericano Rodney King. La disoccupazione giovanile tocca il 50% in diverse aree di South LA e, tra Bloods e Crips, le due gang più famose della storia americana, si contano solo a Los Angeles 100.000 membri.
In musica, la rabbia di strada si esprime innanzitutto col rap: in California, sono gli anni della Death Row Records, dell’ascesa di Dr. Dre, Snoop Doggy Dogg e Tupac Shakur. Proprio nel 1994, quest’ultimo subisce il suo primo attentato nel contesto della celebre rivalità West Coast-East Coast che porterà, in una escalation continua, al suo assassinio nel 1996. Il grunge, che pure ha saputo conquistare milioni di ascoltatori da entrambe le parti dell’Atlantico per il disagio e la frustrazione generazionale che esprime, è ormai un fenomeno mainstream, fagocitato da MTV e in una caduta libera di credibilità.
Nel 1994, a bollire in pentola proprio in California, c’è invece il revival di un genere che è sempre stato sinonimo di protesta, anti-conformismo e rivalsa sociale. Il punk sta tornando e i suoi nuovi protagonisti californiani sono dei personaggi tanto improbabili quanto importanti per la nostra storia. Stiamo parlando di un dottorando 27enne in biologia molecolare della University of Southern California con i capelli biondi raccolti in lunghe treccine afro e di un bidello di scuola elementare 29enne, con gli occhiali alla Buddy Holly, bloccato in quello che i Police definirebbero un Dead End Job, un “posto fisso” senza prospettive di crescita. Insieme a un altro paio di amici, portano avanti un gruppo punk che esiste dal 1984 senza alcun successo. Hanno un contratto, dal 1991, con una piccola etichetta indipendente di Los Angeles che ha come logo una lapide, perfetta, si direbbe, per lo stato di avanzamento della loro carriera di musicisti. Nessuno dei due pensa insomma di andare da qualche parte con la musica. Qualcosa sta cambiando però: hanno nuovo materiale tra le mani e il loro genere sta tornando a prendere piede in America grazie a band come Green Day e Rancid.
Quei due ragazzi sono Bryan Keith Holland, detto “Dexter”, e Kevin John Wasserman, detto Noodles. La loro band si chiama The Offspring e a marzo pubblicano un pezzo che si intitola Come Out And Play (Keep ‘Em Separated), il primo singolo dall’album Smash. Il singolo schizza al primo posto della Billboard Modern Rock Chart, mentre l’album vende così tanto da diventare il maggiore successo commerciale di un’etichetta indipendente di tutti i tempi (record tuttora imbattuto), consegnando al mito rock anche quella label dal marchio un po’ macabro, la Epitaph Records. È un caso? Come spesso accade nella vita, solo in parte. Come Out And Play è un inno alla sua epoca, una reazione musicale a un tempo rabbiosa, disincantata e sarcastica alle violenze che insanguinano le strade degli Stati Uniti - e non solo - alla metà degli anni ‘90. Un riff portante dal gusto orientaleggiante, ipnotico e spigoloso. Un testo che parla della violenza come una “spreading disease” e paragona le strade a dei campus universitari in cui le gang immatricolano i loro studenti consegnandoli alla morte o alla galera. È la risposta provvidenziale della musica quando viene messa al muro e riesce a creare bellezza nonostante tutto il caos attorno.
Come successo per ogni grande problema sociale della seconda parte del Novecento, infatti, anche in quegli anni si fa presto a cominciare a puntare il dito sulla musica: “i giovani ascoltano troppo quel genere”, “i giovani frequentano troppo quel live club”, “genitori, state attenti a cosa ascoltano i vostri figli”, ecc. Si tratta di un copione visto tante volte: si pensi ad esempio alle polemiche montate attorno alla figura di Marilyn Manson dopo la sparatoria alla Columbine High School, semplicemente perché la rockstar americana era tra gli ascolti preferiti dei due minorenni trasformatisi in “massive shooters” (dimenticando che i due avevano potuto acquistare i proiettili per il pluriomicidio in un normale supermercato). O ancora, spostandoci in Europa, si può citare la chiusura forzata, a causa delle “cattive frequentazioni”, del The Haçienda, locale simbolo del movimento “MadChester”, del sound acid house anni ‘90 e luogo di storiche esibizioni di band come Echo & The Bunnymen, New Order e The Smiths.
Allora forse diventa attuale parlare del contesto in cui nascono pezzi come quello degli Offspring e fare un po’ di storia comparativa. Anche oggi, infatti, la musica è messa indiscutibilmente al muro. Certo, non è più e non prioritariamente la violenza a popolare i titoli di testa dei telegiornali. Ma anche nel contesto pandemico, quando c’è da trovare un nesso causa-effetto, la musica finisce per essere coinvolta o, quantomeno, non tutelata. Titolo e sottotitolo stessi di quella canzone, Come Out and Play (Keep ‘Em Separated), sembrano rappresentare perfettamente le due istanze che, da due anni a questa parte, si confrontano aspramente ogni volta che la curva dei contagi torna a salire. C’è chi vuole “uscire a suonare”, per salvare i posti di lavoro dell’indotto musicale e preservare una forma di espressione e valvola di sfogo fondamentale come l’arte musicale; e chi, pur con tutte le sue legittime ragioni, individua nelle occasioni di incontro in musica un rischio troppo grande da correre in questo periodo e sceglie di tenerci separati innanzitutto dove ci sarebbe spazio per la musica. Si tiene davvero a fatica il conto degli eventi annullati o rimandati in questi due anni. La reazione della musica a tutto questo assume oggi sicuramente diverse forme. Da una parte, infatti, c’è stata una reazione di tipo politico-associativo. Non si possono infatti non citare, per limitarci all’Italia, le tantissime iniziative messe su da associazioni come KeepOn Live, che rappresenta i festival e i live Club del nostro Paese, insieme con Arci e AssoMusica.
Si pensi a “L’Ultimo Concerto?” e al battage social che ha provocato. Ancora alla fine del 2021, le tre associazioni sono state congiuntamente firmatarie di una lettera aperta al Governo in risposta al cosiddetto Decreto Festività. Con questo atto, si è tornati a chiedere con fermezza adeguate misure per i live club, per tutte le strutture adibite a musica dal vivo e spettacolo, per gli operatori e per tutti i lavoratori del settore. Misure necessarie alla loro sopravvivenza, come ammortizzatori sociali e prolungamento della cassa integrazione, indennizzi per la nuova improvvisa chiusura a favore di artisti, maestranze, produttori e organizzatori, prolungamento della moratoria mutui e leasing, sostegno ai costi fissi di locazione e utenze. Le battaglie a difesa dell’ecosistema musica (che sembra non aver ancora goduto di concessioni pur accordate a teatri e cinema) hanno vissuto tanti episodi e alti e bassi durante l’era Covid, ma testimoniano un nuovo fermento di partecipazione solidale e compatta all’interno del mondo musicale. E la musica, messa con le spalle al muro, sta reagendo anche tecnologicamente stavolta. L’ibridazione delle forme di live music è un nuovo orizzonte di evoluzione e sperimentazione verso il quale si procede molto più speditamente proprio in virtù della situazione venutasi a creare negli ultimi due anni. La pandemia ha infatti fatto emergere un grande potenziale inespresso all’interno dell’industria del clubbing. Mentre, infatti, i grandi eventi subivano continui ingolfamenti causati dai repentini cambi di scenario, i consumatori hanno cominciato a esprimere atteggiamenti molto positivi verso un’offerta di eventi musicali più diversificata e verso tutti quei format di eventi che possono essere organizzati nel rispetto delle norme per il contenimento del Covid: piccoli concerti in club, bar e parchi, musica di strada sotto forma di busking, eventi privati e piccoli festival fuori città o live music in forme di fruizione ibrida (parte in presenza, parte in streaming).
Una ricerca di Music Innovation Hub di Milano aveva già messo in evidenza, nell’estate 2020, come il 74% degli intervistati avesse piacevolmente sperimentato la formula mista di concerti, auspicando una parziale deregolamentazione delle politiche sui permessi per incoraggiare una nuova esplosione musicale radicata e imperniata su una vibrante rete di piccoli locali e venues. E a livello europeo non sono mancate le iniziative volte ad alimentare questi sviluppi all’interno del mondo musicale in genere, come la Next Stage Challenge, un hackathon che ha premiato e permesso la nascita di diverse start-up impegnate su tale fronte, come la piattaforma francese JamSpace, per le jam session da remoto, il servizio di livestream per concerti virtuali belga, OW1, e Gramrphone, software pensato per condividere stream di alta qualità audio sulle piattaforme di settore principali.
Ora però tocca alla reazione creativa, alla nuova bellezza che solo una scena musicale costretta all’angolo da un presente fatto di complessità può mettere a disposizione di tutti. Qualcosa sicuramente si sta muovendo. Parlando con un produttore e discografico di Taranto, gli ingredienti sembrano esserci tutti: con le sale prove spesso chiuse, gli emergenti hanno iniziato a investire risorse e impegno sull’home studio, creando delle buone pre-produzioni domestiche, pronte al salto di qualità in studio di registrazione. Ma soprattutto c’è un ritorno all’espressione sincera di contrasti interiori profondi, con una scrittura poco artefatta e di pancia. E quando si scrive di pancia la bellezza non tarda ad arrivare. Nuovi inni generazionali vengono scritti e registrati proprio in questo momento. Diamoci il tempo di ascoltarli, riconoscerli e farli nostri. Come Out and Play, corsi e ricorsi storici di un’arte che dà il meglio di sé quando è messa alle strette.