Interviste

Interviste di Redazione | 01-05-2024

Serena Brancale: Baccalà, Tour e Rivoluzioni

CONDIVIDI:
Serena Brancale: Baccalà, Tour e Rivoluzioni

Fiore all’occhiello del nu-soul italiano all’estero, Serena Brancale non è certo tipa da accontentarsi di schemi precostituiti: nel 2024, le sue sperimentazioni l’hanno portata al raggiungimento della viralità con Baccalà e ora, tra tour, testi dialettali e beat, vive appieno la sua nuova rivoluzione creativa.

Partirei dall’attualità, da Baccalà On Tour. Che spettacolo stai portando in giro e quali elementi di novità hai introdotto per esaltare i singoli di successo del tuo 2024?

Spero di portare in giro una festa di amici che giocano con diversi stili musicali. Siamo tutti musicisti accademici ma ci stiamo divertendo, cercando di non prenderci troppo sul serio e giocando con il sound che ci propone Dropkick che è la novità entrata a capofitto nel progetto da Baccalà in poi, con la sua tecnica di finger drumming, una rivoluzione un po’ di quella che è l’immagine che abbiamo del batterista. Ce ne sono pochissimi come lui in Italia e lui è tra l’altro tra i più giovani a suonare la batteria con le dita. Quindi non sono dei pad, non sono delle sequenze, non è Logic, non è la loop. Sto proponendo una festa di ragazzi che sono comodi sul palco, sia nel vestire che nell’introdurre dei brani. Spesso facciamo canzoni a mo’ di giochi o filastrocche: c’è un brano nuovo in scaletta che si chiama Capatosta, che improvvisiamo al momento, una sorta di improvvisazione jazz. È tutto molto studiato come allestimento live, ma l’idea è anche quella di sorridere e ballare. Vado a riprendere i brani vecchi, Galleggiare o anche Il gusto delle cose, che vengono però ripensati con un beat UK Garage. Sul palco c’è la Serena più seriosa che viene un attimo rimodellata nel 2024 in tuta, come se fosse ambientata in un DJ set, ecco. L’immagine che mi piace, ultimamente, è proprio questa qui, quella di una DJ che seguo su Instagram, Deborah De Luca, di cui mi piace molto la comunicazione, o anche della grande Peggy Gou. Voglio avvicinarmi a quel mood, a quei colori e a quello stile, più che all’immagine di una cantante jazz, cosa che amo e che di fatto sono, perché sono partita da lì, però ecco vivo una sorta di rivoluzione.

Come si è svolta la preparazione del tour? È stato un lavoro dilazionato nel tempo o molto concentrato?

L’allestimento in sala di registrazione è durato due giorni, perché di base coi ragazzi suonavo già prima di Baccalà. Il lavoro più pesante lo ha fatto Massimiliano (il fingerdrummer Dropkick M, Ndr), riprendendo i brani e sviluppandoli con una sua ritmica. Anche se sentirai Like A Melody, Je so pazze La dolce vita, il sound è totalmente cambiato con lui. Io stessa sono molto concentrata sulla scaletta, sul repertorio e sull’allestimento del live. Quindi sono io che tipicamente propongo a Carlo, il mio manager, le idee sul come realizzare il concerto. Lui, che è davvero il mio braccio destro, è sempre bravo a confermarmi le idee migliori e anche a darmene altre. Le nostre chiacchierate sui live girano attorno ai brani da inserire, al perché, per quale messaggio, alla presenza o meno di ballerini in determinate date. Per esempio ci aspettano due concerti importanti in teatro dopo la tournée estiva e stiamo pensando anche agli archi. A livello di contenuti comunque la cosa più importante rimane mettere in evidenza le canzoni migliori del momento.

Vorrei parlare delle lyrics dei tuoi nuovi brani. L’impronta dialettale non è un’assoluta novità per te, ma mai è stata evidente come nei tuoi ultimi singoli. Quali soddisfazioni e possibilità espressive stai trovando nel tuo vernacolo?

Eh tante. Ieri ero in treno e scrivevo l’ennesimo brano perché, stando sempre in giro, mi capita spesso di ricevere i beat da Dropkick e di lavorarci in cuffia. Così è successo per La ZiaStu CafèBaccalàCapatosta e altri che devono ancora uscire. Personalmente mi sto divertendo un sacco, perché sto raccontando delle cose che ho sempre visto a Bari Vecchia, ma anche nella mia stessa famiglia. Per esempio, quando parlo della zia che mette i soldi nel reggiseno, mi riferisco proprio alla mia di zia. Approfitto del dialetto per raccontare delle cose che in italiano sarebbero un po’ fuori luogo. A volte sembra quasi che con il dialetto tutto sia permesso. Puoi raccontare della malavita ma in un modo che ti fa sorridere, puoi raccontare del dolore e di tante altre tematiche che toccherò con i prossimi singoli, e col dialetto ha tutto un senso. Le storie sono più vive, hanno colori più vividi. Ho provato a cantare un brano nuovo una volta in italiano e non prendeva. In dialetto è piaciuto a tutti. Certo, ora bisogna trovare la soluzione perché il dialetto venga in qualche misura italianizzato, perché altrimenti rimane un qualcosa solo per un bacino ristretto.

Venendo al sound, l’impressione è che tu stia ulteriormente allargando la tua tavolozza sonora. Quale diresti che è la direzione che hai preso con le tue ultime uscite discografiche e quelle che verranno a breve?

Non è un problema che mi pongo, perché l’anno prossimo magari accade qualcosa per cui si ritorna al jazz. Ad esempio, c’è una cantante che ha la mia età e sta portando il jazz nel mondo, si chiama Raye e a luglio ha cantato all’Umbria Jazz. Ed è bello che una cantante proponga questo genere nel 2024 in uno spettacolo con formazione super jazz mainstream, con il quartetto di fiati, brass band. Chissà, magari l’anno prossimo torno a fare un brano in swing, ma in dialetto. Tra l’altro rischi di chiuderti in una gabbia quando vai a raccontare che stile fai, soprattutto per chi vuole sperimentarne diversi come me. Di base ho sempre amato il soul e da piccola ho suonato tanta musica classica, al violino. Crescendo ho iniziato a scoprire, con Top Of The Pops e ascoltando la musica commerciale in TV, che c’erano delle canzoni R’n’B che mi piacevano. Poi, a partire dai 18-19 anni, ho intrapreso gli studi di jazz. Guarda, la cosa più brutta è quando una persona non vuole unire i puntini. E quindi se, per dire, uno ha fatto ingegneria, allora non può cantare. Ad esempio, anche il fatto di aver studiato all’Accademia delle Belle Arti mi aiuta un sacco a fare le mie storie, a pensare ai miei post e ai reel. Io credo fermamente per esempio che Annalisa sia brava in quello che fa perché è una fisica. Noi ci siamo conosciute e quando l’ho vista lavorare mi è sembrata una matematica e questo penso faccia parte della sua formula per il successo. Perché siamo arrivati a questo, non lo so, vabbè.

Ci parli un po’ del tuo “angolo di produzione” e del tuo processo creativo?

Considera che, quando chiudiamo l’intervista, la prima cosa che faccio è andare giù a registrare. Quello di cui mi occupo è il minimo indispensabile per bloccare l’idea e passarla poi a chi va a produrre il brano, che spesso è Manuel Finotti, ma da Baccalà in poi anche Dropkick. Realizzo cori, voci e magari registro le tastiere sul mio progetto Logic. Nella mia stanzetta ho un grande microfono, il mio computer, una scheda audio, i cavi necessari. Registro, chiudo il progetto e invio. Dopodiché, una volta che Carlo approva e siamo tutti entusiasti di quanto proposto, vado a Isola degli Artisti ad Aprilia, dove sviluppo ulteriormente l’idea. L’idea vocale comunque nasce a casa mia, perché sono sola e posso giocare con le voci, con le sonorità. Poi tutto il lavoro passa a Manuel e a Isola degli Artisti.

Uno strumento, un live e un disco che consigli ai nostri lettori.

Come strumento non ho dubbi, la loop station tutta la vita e, in particolare, la Boss RC-505 MKII che è l’ultima in circolazione. Venendo ai live, non ne ho in mente uno intero da proporti, ma sono cresciuta con il sogno di diventare Erykah Badu. Guardavo spesso su YouTube spezzoni dei suoi concerti, in particolare di uno risalente a quando lei era molto giovane ma aveva già preso le redini ed era leader del suo gruppo. E questo live iniziava con lei sul palco in tunica che accendeva delle candele. E così partiva il concerto, mi è rimasto impresso. Infine, per quanto riguarda gli album, sono molto legata a due dischi di Esperanza Spalding che sono Esperanza Radio Music Society, sono proprio cresciuta con lei che arrivava al successo incidendo questi brani meravigliosi tra il soul, il jazz, l’afro, è stata proprio di grande stimolo!