Interviste
Trevorn Horn: Reimmaginare le Hit Oggi

Cos’ha ancora da dire artisticamente la voce della prima hit mondiale ad avere un video musicale dedicato? Una leggenda del synth pop e della new wave britannica si racconta in occasione della pubblicazione di un nuovo maturo lavoro in studio
Nel mondo, i più lo ricordano come quello di Video Killed The Radio Star, ma l’ex cantante e bassista dei The Buggles, oggi 74enne, non ha mai smesso di produrre musica di qualità e canzoni iconiche, con gli Yes e non solo. Negli ultimi anni, mettendo insieme la sua creatività e la sua esperienza come producer, sta portando avanti un coerente percorso di riarrangiamento e ripensamento delle grandi hit pop degli ultimi quarant’anni. Schivando le note più nostalgiche e raccontando la sua professione con aria divertita, Trevor Horn ci ha parlato del suo ultimo lavoro in studio, condividendo con naturalezza la sua visione della musica e degli artisti.
Benvenuto su SMMAG!, Trevor. Dopo aver ripensato gli anni Ottanta con un orchestra nel 2019, ora stai dando nuova vita ad alcune delle più iconiche hit dagli anni Ottanta ai primi Duemila. Qual è l’idea dietro Echoes: Ancient and Modern e cosa vuol dire reimmaginare un pezzo per te?
Era mia intenzione prendere delle canzoni che suonassero familiari per tutti e trovare un nuovo modo di costruirle, andando alla ricerca di ulteriori significati al loro interno. L’idea era questa. Quanto alla seconda parte della domanda, in un certo senso, persino gli originali dei pezzi sono sempre una reimmaginazione, visto che molti di essi non assomigliano affatto alle versioni demo. Per esempio la demo di Relax è diversissima da ciò che è stato pubblicato. Quindi innanzitutto ci sono sempre tanti modi di fare ed eseguire le canzoni. Ho sempre pensato che sarebbe stato interessante andare indietro e capovolgere un po’ le cose, magari facendo cantare a voci femminili canzoni originariamente cantate da uomini e viceversa. Sai, Love is a Battlefield suona molto diversa cantata da un uomo sessantenne (Marc Almond, NdR) invece che da una giovane e attraente Pat Benatar che dichiara “we are young, heartache to heartache”.
Sui social, ti ho sentito dire che hai basato la scelta dei pezzi sulle lyrics, perché nella tua visione la musica è sempre lì ma i testi fanno la differenza. Forse con questo lavoro, il paradigma è capovolto e la musica capovolge il significato delle parole stesse.
È un interessante punto di vista, ma la musica è sempre lì a supporto del cantante. Vedi, a mio avviso, è più che altro la persona che canta a cambiare il senso della musica, che è strumentale a sostenere quella persona. Per fare un esempio, ho sempre visto Drive come una canzone molto triste e, fin dal mio primo ascolto della versione dei The Cars, mi è stato possibile rivedermici, perché sono stato in quella situazione, con qualcuno che è fuori controllo. Non penso tale concetto possa invecchiare o essere superato in alcun modo. Poi ovviamente non sono riuscito a capovolgere ogni situazione nell’album e quel pezzo è infatti cantato da Steve Hogarth.
Come avete lavorato in studio con i diversi cantanti? C’è stato molto scambio di idee o avevi un’idea precisa di quello che sarebbe stato il loro contributo sull’album e su canzoni specifiche?
Il processo di nascita dell’album è più o meno andato così: siamo partiti con il registrare delle demo con idee che avevo su determinati brani e sul come riarrangiarli. Ne abbiamo provati un sacco, penso che abbiamo superato la trentina. Ma sai come vanno certe cose, dopo un po’ alcuni pezzi sono emersi a scapito di altri, rendendo evidente come valesse la pena insistere su quelli. Con la demo alla mano, abbiamo iniziato ad avvicinare gli artisti per convincerli a salire a bordo. A quel punto, una volta coinvolti i cantanti, ho cambiato il “contorno” per adattarlo il più possibile alle loro voci.
È successo qualcosa di interessante in studio con i cantanti che vorresti condividere con noi?
Fammici pensare, eravamo spesso in due o tre musicisti in studio a lavorare ed è stato anche piuttosto laborioso il processo. C’è da dire che, quando abbiamo cominciato a registrare, l’album sarebbe dovuto essere acustico nella sua totalità. Non sarebbe stato un bel risultato. Siamo partiti in acustico e, dopo un po’, mi sono sentito molto annoiato dall’idea. Ma qualche spunto l’ho mantenuto, come nel brano cantato da Iggy Pop (Personal Jesus, Ndr). Quando è venuto in studio a registrare le voci, tutta la base era acustica, non c’era neanche uno strumento elettrico. Ma la sua performance è stata così forte e potente che ci ha quasi costretti ad aggiungere qualcosa di un po’ più sporco come per bilanciare la situazione.
Hai avuto difficoltà ad astrarti da canzoni già reinterpretate con successo, proprio come Personal Jesus, già reimmaginata da Johnny Cash e Marylin Manson? Qualche brano è stato più complicato e stimolante degli altri?
In realtà non avevo mai sentito la versione di Johnny Cash perché ho sempre preferito la produzione dei tempi di I Walk the Line e The Ring of Fire alle ultime cose che ha fatto. Credo comunque che la canzone per la quale è stato più difficile trovare la giusta intenzione sia stata Steppin’ Out, perché mi è venuta questa idea di farne una versione in cui “uscire” volesse dire farlo a Los Angeles invece che nella New York descritta dall’originale. Mi piace tantissimo infatti il modo in cui scrive Joe Jackson: è un autore straordinario e può davvero farti sentire come se ti stessi facendo di coca a New York negli anni Ottanta, per questo nell’originale è tutto così veloce. Ma io volevo renderla rilassata come un’uscita a LA la sera. Mi ci è voluto un bel po’ per azzeccare il giusto arrangiamento anche perché è un brano molto divertente, parecchio intricato quando vai a studiarlo nel dettaglio.
Come ti immagini un live tour per questo album?
Be', nel caso in cui dovessimo effettivamente organizzarlo, semplicemente coinvolgeremo 8-10 musicisti e suoneremo l’album, magari cercando di coinvolgere quanti più cantanti è possibile. E magari per chi non potrà essere presente, registreremo dei filmati da integrare nell’esibizione live.
Volendo fare i nostalgici, ti manca qualcosa del periodo in cui hai raggiunto il successo?
I soldi! (ride apertamente, Ndr). Sono spariti tutti anche dalle etichette discografiche per via della musica liquida e degli streaming. Gli artisti non guadagnano più abbastanza.
Mi piacerebbe chiederti tre suggerimenti in chiusura: un album che dovremmo ascoltare assolutamente, un artista da andare a vedere dal vivo, uno strumento da provare.
Per l’album, ad esempio, avete mai sentito Heaven or Las Vegas dei Cocteau Twins? Quello è assolutamente un LP da ascoltare. Venendo ai live, non è facile, perché molti degli artisti che facevano grandi spettacoli dal vivo ormai sono molto vecchi. Non tutti però. Non troppo tempo fa, sono andato a vedere Bruno Mars e l’ho trovato molto forte. Alla mia compagna poi piacciono i Rammstein. Quanto allo strumento, penso che un theremin sarebbe interessante da provare, anche nella vostra cameretta!



